Se niente importa non c'è niente da salvare

Appartengo alla categoria dei cosiddetti "lettori forti", leggo da quando ero bambina, è sempre stata una costante della mia vita. Non riuscirei a immaginare la mia esistenza senza i libri, libri che ho letto, venduto, prestato, regalato, curato, recensito.... Ma, nonostante avessi all'attivo libri indimenticabili, autori che amo, storie che mi hanno profondamente emozionata, non c'era il libro che mi avesse "cambiato la vita" fino a due anni fa, quando ho letto Se niente importa di Jonathan Safran Foer. Questo sì ha letteralmente cambiato la mia vita, il mio modo di vedere le cose, di fare la spesa e di mangiare.


Il libro non è un manifesto del vegetarianesimo, ma va ben oltre; è piuttosto una vera e propria indagine sulla produzione di carne (e pesce), in particolare sull'allevamento intensivo, e sull'impatto che questa ha sull'ambiente, sull'economia, sulla nostra salute e ovviamente sugli animali stessi.
Secondo Safran Foer, il grande consumo che si fa di carne prodotta industrialmente è dovuto al fatto che le persone non sanno come avvenga questa produzione. E non posso che dargli ragione: a me è bastato leggerlo per prendere alcune decisioni da cui non tornerei mai indietro.
E' stato lo stesso per chiunque lo abbia letto. E sono certa che sarebbe lo stesso per chiunque lo leggesse.

Consideriamo innanzitutto la questione ambientale. Qualche esempio. L'allevamento intensivo "contribuisce al riscaldamento globale per il 40% in più rispetto a tutto il settore mondiale dei trasporti ed è la prima causa dei cambiamenti climatici"; i tonni si stanno estinguendo perchè, in barba alle leggi e ai controlli che non ci sono, vengono pescati esemplari che non hanno ancora raggiunto uno sviluppo tale da essersi riprodotti.

C'è poi la questione non meno importante del rispetto per gli animali. Della vita in gabbia ma anche del cosidetto "allevamento all'aperto". Sapete che il requisito per considerare un allevamento "all'aperto" è che nel capannone dove vivono gli animali ci sia un'apertura? Ve lo immaginate quante volte una gallina che sta dall'altro lato dell'immenso capannone stipato di sue simili sia in grado di uscire a fare un giro nell'aia? Probabilmente mai nel corso di tutta la sua breve e sfortunata esistenza.
Per quanto mi riguarda, non sapevo neanche che da cinquant'anni polli e galline si dividono in razza "broiler" e "ovaiole", con corpi e metabolismi diversi, i primi progettati per fornire carne, le seconde per produrre uova. La vita delle ovaiole è scandita totalmente dalla somministrazione studiata di cibo e luce artificiale: senza dilungarmi troppo, in sostanza il ciclo stagionale dura per loro infinitamente meno di quello naturale, in modo tale da far loro deporre molte più uova di quanto farebbero naturalmente (pensate che in caso di blackout, ma questo l'ho imparato da un addetto ai lavori, le galline muoiono una a una, non essendo programmate per avere buio "fuori programma").
Grazie alla manipolazione genetica, i polli, che un tempo avevano un'aspettativa di vita di circa 15 anni, oggi vengono macellati verso le sei settimane e il loro tasso di crescita giornaliero è aumentato del 400%. Domanda: che fine fanno i pulcini maschi di razza ovaiola? La risposta nel libro c'è, e non è una lettura rilassante.
Così come ci sono ben descritte le violenze e le crudeltà gratuite che avvengono nella maggior parte degli allevamenti e dei macelli.

Ultima questione: che cosa c'è dentro quella confezione che troviamo al banco frigo su cui c'è scritto "petto di pollo" o "lonza di maiale" o "bistecca di vitello"?
Di tutto. Dagli ormoni della crescita (ché mica si può aspettare che un manzo cresca coi suoi tempi), agli antibiotici, agli scarti che non ci sogneremmo mai di mangiare e che troviamo soprattutto nelle preparazioni "non ben identificabili" come wurstel, hamburger o omogeneizzati.
Mi fa schifo persino scriverlo, ma è interessante sapere che, almeno in America (in Europa onestamente non so), "un tempo sostanza contaminante pericolosa, le feci sono ora classificate come difetto estetico. Il risultato è che gli ispettori scartano un 50% in meno di carcasse."
Altro che carni scelte! D'altronde che capitalismo sarebbe se non si sfruttasse appieno le materie prime, se non vendesse tutto il vendibile e anche l'invendibile?

Onestamente è stato questo aspetto quello che ha influenzato maggiormente le mie scelte successive. L'idea di ingurgitare tutto quello schifo e di propinarlo alle persone per cui cucino mi ha portato naturalmente a chiudere con carne, pesce e uova industriali, senza neanche doverci riflettere, come una reazione immediata e inevitabile.

Non sono diventata vegetariana, ma consumo carne meno di una volta a settimana, e soprattutto la compro da un allevatore che conosco e di cui mi fido; e così, oltre a preservare la mia salute e contribuire alla sussistenza dell'allevatore, non alimento la richiesta di prodotti da allevamento intensivo.

Quando ho finito (e mentre leggevo) Se niente importa, ero così scossa, schifata e incazzata che non parlavo d'altro, e avrei fatto qualsiasi cosa perchè le persone si rendessero conto di quel che stavano mangiando!
Alcuni si sono incuriositi, altri hanno preferito non sapere.
Perchè, come scrive Coetzee in commento al libro, "...chiunque, dopo aver letto il libro di Foer, continui a consumare prodotti industriali deve essere senza cuore o senza raziocinio."

Commenti

  1. Son venuta a leggere la tua recensione, questo è un libro che ha colpito molto anche me.
    Hai ragione sul fatto che letto questo libro faccia senso pensare di mangiare cibi che derivano dagli allevamenti industriali e speriamo che questo porti a un consumo critico attivo che orienti le scelte di mercato globali e i comportamenti dei singoli.

    Le ricette senza derivati animali, poi, sono così golose che anche per chi percorre gradualmente la riduzione di questi cibi non ci sono momenti in cui si rimpiange qualcosa, anzi, è una scoperta continua di cibi prima sconosciuti...

    ciao!

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    Risposte
    1. Sono d'accordo con te su quanto sia bello e utile scoprire sapori nuovi e per di più salutari.
      Ma mi sono resa conto che ciò che frena le persone a "emanciparsi" dal cibo industriale è spesso la pigrizia e proprio perchè temono che, scoprendo da dove partono e come funzionano certi processi di lavorazione dello pseudocibo, non riuscirebbero più a mangiare certe cose, semplicemente evitano di leggere libri come questo!
      Forse quest'ultimo pensiero era un po' contorto, ma spero di aver reso l'idea :)
      Comunque per questo io continuo imperterrita la mia campagna di sensibilizzazione tra amici, parenti, conoscenti e lettori!
      un bacio

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