Ci vuole empatia per ricordare
"Ieri ho detto ai ragazzi: “Domani venite a scuola con una bottiglietta d'acqua vuota”.
Sui loro volti, lampante che neanche le insegne di Las Vegas, la domanda “E che cavolo si inventerà stavolta il prof?”
“Lo vedrete domani”.
Oggi sono entrato in classe. Con un secchio.
Ho detto ai ragazzi di sedersi in cerchio. Ho dato a ciascuno di loro un piccolo foglio di carta.
Gli ho detto: “Adesso pensate alla persona a cui volete più bene al mondo. Poi disegnate un omino stilizzato e vicino ci scrivete il suo nome”
“Ma io posso scriverne due?”
“Certo, anche tre se vuoi!”
E dopo ho chiesto loro di riempire la bottiglietta, di versarla nel secchio e di tornare a sedersi.
L'idea me l'ha data un libro: Ammare, di Alberto Pellai e sua moglie Barbara Tamburini. Perché domenica è la Giornata della Memoria, e sinceramente a me di parlare solo di Shoah non mi va più.
Perché per pensare che il passato si stia ripetendo identico bisogna essere un po' miopi. Ma per non vedere pezzi di quel passato nel nostro presente, bisogna essere proprio ciechi.
Davanti ai loro occhi ho fatto una grande barca di carta, e gli ho detto di metterci ciascuno il proprio foglietto sopra. Poi ho appoggiato la barca sulla superficie dell'acqua. Infine ho iniziato a far vacillare il secchio, fino a che la barchetta non si è ribaltata, facendo cadere giù tutti i foglietti. Tutti quei nomi, quegli omini, giù in fondo al secchio.
C'era chi aveva messo il papà, chi la migliore amica, chi il cuginetto di un anno.
Si è creato un silenzio incredibile. Più di un minuto senza che nessuno fiatasse. E se qualcuno sa come sono i ragazzi di terza media, sa che avere un minuto di totale spontaneo silenzio è quasi un miracolo.
C'erano anche degli occhi lucidi. Oltre ai miei, dico.
E allora ho raccontato loro del naufragio del 18 aprile 2015, in cui nel Canale di Sicilia sono morte più di mille persone, tante quasi come nel Titanic. La loro barca, un peschereccio fatiscente che di persone ne poteva contenere al massimo duecento.
E ho raccontato loro di una di quelle: un bambino più piccolo di loro, originario del Mali, che è stato ritrovato con la pagella cucita sulla giacca.
“Secondo voi perché un bambino dovrebbe salire su una barca così?”
“Per far vedere che aveva studiato!”
“Per dire a tutti che era bravo a scuola!”
E poi un ragazzino macedone, di fianco a me, a bassa voce ha detto:
“Forse per far vedere che non era cattivo, come molti pensano di tutti quelli che arrivano”.
La campanella è suonata. Anche per non appesantire troppo il momento, ho detto loro di mettere a posto tutto, di andare a ricreazione. Sono usciti, e piano piano hanno ricominciato a parlare, a chiedersi la merenda, le solite cose.
Sono rimasto solo a sistemare la mia roba.
Poi è successa una cosa.
A un certo punto sento dei passi dietro di me.
Tre ragazze.
“Scusi prof”
“Sì?”
“Noi vorremmo...”
“Voi vorreste...?”
La più coraggiosa delle tre prende il coraggio e dice tutto in un fiato:
“Possiamo tirare fuori quei fogli da lì?”.
Ci siamo chinati, li abbiamo tirati su uno per uno, insieme.
E intanto io le guardavo, e dentro di me pensavo che finché tre ragazze decidono di saltare la ricreazione per tirare su dal fondo di un secchio dei fogli di carta, c'è ancora motivo per credere in un mondo diverso."
“Lo vedrete domani”.
Oggi sono entrato in classe. Con un secchio.
Ho detto ai ragazzi di sedersi in cerchio. Ho dato a ciascuno di loro un piccolo foglio di carta.
Gli ho detto: “Adesso pensate alla persona a cui volete più bene al mondo. Poi disegnate un omino stilizzato e vicino ci scrivete il suo nome”
“Ma io posso scriverne due?”
“Certo, anche tre se vuoi!”
E dopo ho chiesto loro di riempire la bottiglietta, di versarla nel secchio e di tornare a sedersi.
L'idea me l'ha data un libro: Ammare, di Alberto Pellai e sua moglie Barbara Tamburini. Perché domenica è la Giornata della Memoria, e sinceramente a me di parlare solo di Shoah non mi va più.
Perché per pensare che il passato si stia ripetendo identico bisogna essere un po' miopi. Ma per non vedere pezzi di quel passato nel nostro presente, bisogna essere proprio ciechi.
Davanti ai loro occhi ho fatto una grande barca di carta, e gli ho detto di metterci ciascuno il proprio foglietto sopra. Poi ho appoggiato la barca sulla superficie dell'acqua. Infine ho iniziato a far vacillare il secchio, fino a che la barchetta non si è ribaltata, facendo cadere giù tutti i foglietti. Tutti quei nomi, quegli omini, giù in fondo al secchio.
C'era chi aveva messo il papà, chi la migliore amica, chi il cuginetto di un anno.
Si è creato un silenzio incredibile. Più di un minuto senza che nessuno fiatasse. E se qualcuno sa come sono i ragazzi di terza media, sa che avere un minuto di totale spontaneo silenzio è quasi un miracolo.
C'erano anche degli occhi lucidi. Oltre ai miei, dico.
E allora ho raccontato loro del naufragio del 18 aprile 2015, in cui nel Canale di Sicilia sono morte più di mille persone, tante quasi come nel Titanic. La loro barca, un peschereccio fatiscente che di persone ne poteva contenere al massimo duecento.
E ho raccontato loro di una di quelle: un bambino più piccolo di loro, originario del Mali, che è stato ritrovato con la pagella cucita sulla giacca.
“Secondo voi perché un bambino dovrebbe salire su una barca così?”
“Per far vedere che aveva studiato!”
“Per dire a tutti che era bravo a scuola!”
E poi un ragazzino macedone, di fianco a me, a bassa voce ha detto:
“Forse per far vedere che non era cattivo, come molti pensano di tutti quelli che arrivano”.
La campanella è suonata. Anche per non appesantire troppo il momento, ho detto loro di mettere a posto tutto, di andare a ricreazione. Sono usciti, e piano piano hanno ricominciato a parlare, a chiedersi la merenda, le solite cose.
Sono rimasto solo a sistemare la mia roba.
Poi è successa una cosa.
A un certo punto sento dei passi dietro di me.
Tre ragazze.
“Scusi prof”
“Sì?”
“Noi vorremmo...”
“Voi vorreste...?”
La più coraggiosa delle tre prende il coraggio e dice tutto in un fiato:
“Possiamo tirare fuori quei fogli da lì?”.
Ci siamo chinati, li abbiamo tirati su uno per uno, insieme.
E intanto io le guardavo, e dentro di me pensavo che finché tre ragazze decidono di saltare la ricreazione per tirare su dal fondo di un secchio dei fogli di carta, c'è ancora motivo per credere in un mondo diverso."
Enrico Galiano
Grazie Cri per averlo condiviso
RispondiEliminaÈ quello che ho detto anch'io quando l'ho letto su facebook
EliminaL'avevo letto anche io qualche giorno fa, questo bellissimo pezzo... non ci sono altre parole, dice tutto da solo. Grande insegnamento per un tema gravissimo.
RispondiEliminaGià, consola sapere che ci sono insegnanti così.
EliminaChe lezione!
RispondiEliminaChe prof!!
EliminaQuesto è il senso della Giornata della Memoria, capire che è successo e succede ancora oggi. Intorno a noi, non molto distante ... altrimenti diventa solo una ricorrenza come le altre.
RispondiEliminaCome ha detto Primo Levi, "è accaduto, può accadere di nuovo". E in effetti...
EliminaGrazie!!!
RispondiEliminaSapevo che mi avresti dato degli spunti importanti.
Anche io ho la nausea di questa giornata della memoria, tutta finta e ipocrita...
Grazie e buona giornata!
Sì credo sia stato un ottimo modo per far capire a menti così giovani cos'è che si ricorda nel giorno della memoria.
EliminaGrazie di avere condiviso. Ci sono insegnanti illuminati e anche studenti che lasciano ben sperare nel futuro. Inutile dire che mi sono commossa fino alle lacrime. Ho letto di qualche altro caso in cui i ragazzi si sono dimostrati sensibili ed empatici.
RispondiEliminaUna grande lezione!
RispondiEliminaSaluti a presto.
Bellissimo insegnamento...
RispondiEliminaNon ci sono parole... la miglior lezione e memoria!
RispondiEliminaBel post, veramente un bel post. Grazie per averlo scritto perché fa riflettere su tante cose imporanti e che oggi rischiamo di perdere, e non ce lo possiamo proprio permettere.
RispondiEliminaUn salutone e alla prossima
In this fashion my colleague Wesley Virgin's autobiography begins in this SHOCKING AND CONTROVERSIAL VIDEO.
RispondiEliminaAs a matter of fact, Wesley was in the military-and shortly after leaving-he found hidden, "mind control" secrets that the CIA and others used to get everything they want.
THESE are the EXACT same secrets many celebrities (especially those who "come out of nothing") and elite business people used to become wealthy and successful.
You probably know that you utilize only 10% of your brain.
Mostly, that's because the majority of your BRAINPOWER is UNCONSCIOUS.
Maybe this thought has even occurred INSIDE your very own brain... as it did in my good friend Wesley Virgin's brain about seven years back, while riding an unlicensed, beat-up garbage bucket of a car with a suspended driver's license and $3.20 on his banking card.
"I'm very fed up with living paycheck to paycheck! When will I get my big break?"
You've taken part in those types of thoughts, isn't it right?
Your success story is going to start. You just have to take a leap of faith in YOURSELF.
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